La maggior parte di noi si porta dentro, da sempre, un viaggio, che non è una semplice visita, ma un sogno. E va crescendo a poco a poco, costruendosi una delicata architettura. E’ un’amabile malinconia, che sviluppiamo con un complicato processo: senza voli aerei, senza tempo, senza soldi. Dalle palpebre verso dentro.

Un viaggio di questo tipo si alimenta di letture, cartoline illustrate, carte geografiche, ortografie, persone che arrivano con delle notizie, avventure vissute da altri e di cui uno si sente partecipe, nell’oscurità di una sala cinematografica o a casa, soli davanti al televisore.

Un pezzetto dopo l’altro prende forma il paesaggio che si riproduce una realtà che non si può toccare, ma forte come il vincolo che unisce il corteggiatore alla sua amante segreta. Credo sia una sorta di pellegrinaggio che ha a che vedere con il luogo a cui, per motivi misteriosi, sentiamo di voler appartenere

(da “Amor America” di M.Torres)

Perle di saggezza popolare (grazie a Venessia.com)

Io vado...

...nella mia nuova casa

mercoledì 4 febbraio 2009

Una nuova casa


"A tutti, nel paese, senza dubbio doveva sembrare che io vagassi qua e là, senza destinazione. Ma qui, lungo il fiume, al crepuscolo puoi vedere il dolce volo dei pipistrelli che volteggiano a zig-zag, intorno … volano per procurarsi il cibo. E se ti è mai capitato di perdere la strada nel mezzo della notte, nella foresta oscura vicino a Miller’s Ford, evitando ora una strada, ora l’altra, ovunque si poteva intravedere la luce della Via Lattea brillare per illuminare il sentiero. Dovresti allora capire che io cercavo la strada con ardente zelo e che tutto quel mio vagabondare era un vagabondare nella ricerca."

(una mia personalissima traduzione e adattamento della poesia “William Goode”, in “Antologia di Spoon River”, di E. Lee Masters)



Curiosa ed impaziente, ho vagabondato…

Un giorno mi son fermata:
un albero
una panchina
un’ombra


Sono stata a testa in giù, appesa ad un ramo di quell’albero, accompagnata dal dolce russare dei pipistrelli, risvegliata dai raggi che penetravano tra le foglie, coccolata dal silenzio di chi, passando, guardava su e sorrideva… e sussurrava… e raccontava…

Ho deciso di fare di quest’albero, la mia casa.
Ho deciso di fare di questa panchina, la ninnananna dei miei pensieri.
Ho deciso di fare di quell’ombra, la mia ombra… ad un passo dai miei pensieri, ad un passo da chi c’è appena più in là.

Nel caso qualcuno abbia voglia di passare a salutare, ora abito qui.
Starò a giocare con i semini di senapa… chicchi minuscoli, invisibili… che crescono con sole e pioggia.

Lascio questo mio spazio verde, così… com’è… con i giocattoli fuori posto, l’eco delle parole e le orme sulla strada…

In fondo, tutto quello che conta, è con me… alla rinfusa nelle tasche…

giovedì 15 gennaio 2009

Un tango di seducente silenzio

Mi immagino un silenzio surreale. Un pavimento nudo, di legno chiaro, caldo.
Un passo avanti all'altro, un petalo dietro l'altro.

Silenzio



Discover Gotan Project!



Le mani sudate; i passi lenti, decisi.
La punta che scivola, sfiora la cera, insegue l'ombra.
Chiudi gli occhi in un istante e li riapri mille e cento anni dopo, a guardarti in equilibrio sul piede sinistro.

Sfiori le corde di un pensiero, fai virbare l'armonia di un passo.
Cerchi il sottile legame tra le parole, dove i contorni sono bruciati e la punteggiatura arrugginita.

Balli un tango silenzioso, in mezzo alle parole degli altri.

Scivoli sui dittonghi e arrivi in punta di piedi sugli accenti.

Un salto.
Ti aggrappi agli apostrofi.. dei discorsi tronchi, macinati a mezz'aria, nascosti. Con le dita accarezzi la tenda di seta nera.. dietro c'è tutto ciò che vorresti solo immaginare. Abbassi lo sguardo e lasci le emozioni lì.. formicolii sulla pelle.

Chiudi gli occhi e rincorri i sospiri.. quelli che stanno tra le parole, quelli che rimangono imprigionati tra le pieghe della seta, tra le righe d'inchiostro.

Poi allunghi una mano e afferri i punti. Stretti, tra i pugni chiusi.



Oggi cerchi silenzio. Seducente silenzio.

Anch'io.

domenica 11 gennaio 2009

Seguendo la mia creuza de ma

Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov'è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido


[luna, 11 gennaio 2009]

E nella barca del vino ci navigheremo
sugli scogli emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d'acqua e sale
che ci lega e ci porta in una creuza de ma

[la mia creuza de ma (Jesolo -VE, settembre 08)]

da "Creuza de ma" - Fabrizio De André


La penna scorre sul foglio, tra le righe che immagino disegnar una strada... s'inerpicano sui pensieri e scendono sulle emozioni.
Resta un segno scuro, sbavato e sinuoso.
Restano gli spazi tra le parole come fotografie da immaginare.
Inseguo i passi andare e venire, in una creuza de ma


Nella spazzatura... parole e musica:

venerdì 9 gennaio 2009

Al volo... in una tazza di the

Con la mano sfiora la coperta e sorride; dentro agli occhi c'è la luce riflessa della candela accesa.

Penso agli anni... un libro di parole; di segni a matita e disegni sbavati; sottolineature; frecce e linee di graffite e sogni. Cinque anni scorrono come un nastro da tipografia... scritti e macinati... vissuti ed immaginati.
Nel frattempo abbiamo buttato le scarpe vecchie, comprato giacche più pesanti e tolto i guanti.
Ma siamo sempre qui. A stupirci di ciò che siamo e a sognare di riempire le pagine di un quaderno a righe, illuminate solo da quel lumino... al sicuro dentro alla lanterna.
Ho la sensazione che tutto sia proprio in quelle pagine bianche ancora da scrivere.



Il profumo di menta accompagna le parole dove devono andare e noi ci attacchiamo a quel filo e ci facciamo trasportare sulle emozioni.
Mi chiedo dove andranno a rifugiarsi, poi, le parole... quando perdono la forma e s'infilano in un vestito nuovo. Me le immagino in quella bustina affogata nella tazza, appesa al filo sottile che avvolgiamo al manico, stretto tra le dita. Me le immagino tutte lì, schiacciate una contro l'altra.. fino ad imbeversi, fino a profumare l'acqua di menta.
Resta solo l'essenza, il profumo.
Quelle, le parole, le butti. Dopo un po' sono insipide e rinsecchite. Quello che sono state è ormai già dentro di te, passa sotto alla lingua e s'infila tra i denti.. scende giù.

Tutto il resto, è ciò che rimane da raccontare.

domenica 4 gennaio 2009

Come gli occhi dei tuareg


Le dita scivolano sul marmo freddo della cucina, disegnano onde, seguono le curve, come se portassero briciole di colore. Quelle mani sentono quello che io potrei solo vedere, penetrano dove io potrei solo immaginare.
E' vecchio: il viso è disegnato da rughe profonde.. seguendo il filo delle curve, si potrebbe camminare tra i suoi ricordi, scendere giù fino al sole più caldo della terra da cui proviene e risalire su, fino a sentire l'aria dei pascoli. La bocca è scura, una linea sottile; una fessura nasconde denti bianchi, perfetti.
Indossa ciabatte nere di pelle striata dal tempo e una camicia scura, aperta un po', prima di richiudersi sotto alla morsa del maglione di lana grossa, grezza.
Io sono seduta in un angolo e lo osservo. Gli occhi scrutano ogni movimento.. prima le mani.. poi il viso.. mi incanto a vedere le espressioni del volto mentre sfiora il tavolo con delicatezza..
Sorride e mi racconta di quando sedeva ad intrecciare vimini.
Poche parole riescono ad entrarmi dentro, davvero.. le altre si avvicinano e poi sfumano, a pochi centimentri dalle orecchie.Una volta guardava le stringhe delle botti, le scie del carretto sulla mulattiera dopo le giornate di pioggia, i rivoli d'acqua lungo il marciapiedi.. seguo quelle scie.. chiudo gli occhi, anch'io. Cammino fino a bagnarmi i piedi, fino a sentire l'odore acre, del mosto.
Provo una sensazione di velata malinconia.. forse perché non può vedere i solchi sulla neve, oggi.. o forse perché lui vede quel che io non riesco a vedere.. o forse perché mi dispiace.. semplicemente mi dispiace.. chissà perché..
Mi tornano alla mente gli occhi dei tuareg.. nel deserto lo sguardo non incontra ostacoli, è sempre rivolto "oltre", e a lungo andare prende la forma di ciò che sta guardando, diventa profondo, quasi fosse abituato alla lungimiranza.
Chiudo gli occhi e cerco anch'io la profondità, ma io non sono nel deserto, non vedo oltre le case..
Chissà, forse anche lui, prima di diventare cieco, vedeva solo l'orizzonte, vedeva scie nel cielo e nuvole passare.
Io vedo marmo, vedo balconi socchiusi e orme ghiacciate.. mi chiedo cosa potrà vedere lui, più di me.. più iin là di me, nel suo deserto di sabbia e vento.
Vorrei chiederglielo. Vorrei chiedergli cosa vede più di una volta.. prima che quella strana malattia si stendesse comoda sugli occhi, giorno dopo giorno.. una coperta che poco alla volta gli ha nascosto quanto di più bello ci circonda.. i colori! e le forme. e le espresioni delle forme.
Vorrei chiedergli di che colore sono le orme ghiacciate, lui che le vede con gli occhi dei piedi.. di che colore sono, adesso, le stringhe delle botti.. quante sfumature, in fondo, riesce ad immaginare.. quante sfumature, in fondo, mi accontento di vedere io.. quante sfumature, in fondo, non riesco a percepire io.
Sono leggermente miope.. e astigmatica.. se guardo lontano vedo confuso, in una tempesta di sabbia. Dovrei immaginare il deserto e abituare gli occhi a guardare più in là, oltre la linea dell'orizzonte, oltre le case e le antenne..e non voglio occhiali per mettere a fuoco, basta guardare più in là.. sempre un po' più in là.
 

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