E poi, in un momento, sentirsi bene lì, indietro, scarsi, stanchi... ultimi! Lontani dal fruscio degli altri e sentire solo i pedali, solchi nella neve.
Guardarsi attorno e pensare di essere in un sogno...
rallentare...
ascoltare i muscoli...
dare il ritmo giusto alle ruote...
Accendo l'incenso e mi lascio guidare tra le parole, tra quelle fotografie.
Rivedo quel bacio
Risento i piedi stanchi appoggiati alla panchina di Santa Sabina... rivivo quell'aria di casa, lontana chilometri e chilometri dalla mia... quell'aria calda che inaspettatamente ogni tanto riappare, lieve.
ripensandoti
come foglia al vento
carico di profumi
(da "Stacca la spina" di G. Barbarotta)
Il treno ha chiuso le sue porte e il mio viaggio continua; qui; nelle telefonate veloci, negli itinerari tra il vino e le statue ammaccate dal tempo. Il mio viaggio continua nel silenzio di quelle parole che si perdono tra i vicoli nascosti dei ricordi.
Il tuo è ricominciato, nel mio silenzio e nei tuoi sorrisi... so che risentirò quel fischio passarmi accanto, sorridermi, svegliarmi.
Tornerò lassù, un giorno.
Riappoggerò i piedi su quella panchina per fischiare anch'io; e risvegliare la grande città.
vuole vagare in mezzo al cielo.
Aperti gli occhi verso la terra
vuol sorridere come l'alba.
Il sorriso s'unisce alle nubi,
il sorriso vaga per l'aria:
sorriso d'aurora, sorriso di fiore
si spande per il giardino.
Il mio cuore s'innalza in cielo
vuole fiorire come l'aurora.
(da "Sissu" di R. Tagore)
(da “Un altro giro di giostra” di Terzani)
Uno è che non sono ancora riuscito ad avere un rapporto giusto col tempo e a considerare il mio tempo come tempo per gli altri al modo in cui faceva il Swami. Mi piacerebbe tanto arrivarci! L'altro problema è che continuo a identificare la pace interiore con la solitudine, la mia armonia col vivere in un eremo in montagna. La lontananza dal mondo è ancora una condizione necessaria del mio stare in equilibrio. E questo è un segno che ho ancora molto da lavorare. Per questo ho cominciato da poco a fare un esercizio che i tibetani, i sufi e tanti altri hanno fatto per secoli. Disteso per terra guardo il cielo. Contro l'azzurro si muovono, leggere, delle nuvole. Ne fisso una, la seguo, mi ci identifico. Presto divento quella nuvola e, come quella nuvola, senza peso, senza pensieri, senza emozioni, senza desideri, senza resistenza, senza direzione mi lascio andare nell'immenso spazio del cielo. Non ci sono sentieri da seguire, non una meta da raggiungere. Semplicemente vagare, aleggiare, vuoto come la nuvola. E come la nuvola cambio forma, prendo tante forme, poi divento evanescente, mi disfaccio, scompaio. La nuvola non c'è più. lo non ci sono più. Resta solo la coscienza, libera, senza legami, una coscienza che si espande. Ho cominciato a fare quest'esercizio sul mio crinale sopra lo strapiombo. Ora debbo imparare a farlo dovunque: su un prato nell' Appennino, sulla terrazza della casa a Firenze o al margine di un'autostrada. Se riesco a immagazzinare quel senso di vuoto della materia, così come credo di aver finalmente capito che il silenzio è una dimensione interiore e non fisica, avrò fatto un passo avanti, smetterò di considerare il quotidiano come una piovra dalle mille braccia, il tempo come «mio» e a dover scappare nell'Himalaya per sentirmi in pace. Ci lavoro.
(da "Un altro giro di giostra" di T. Terzani)
dimentica le stanchezze del viaggio,
procedi con coraggio!
Non spegnere nell'anima
la luce del tuo cammino.
(da "Sfulingo" di R. Tagore)
e non ho detto
era solo questo:
Attraverso la mia porta
davanti agli occhi
ho visto mille volte
l'universo eterno.
L'eterna intelligenza dello sconosciuto
ogni giorno in tanta semplicità
ha riempito l'intimo del cuore:
non so se potrò dire con parole semplici
questa verità
(da "Balaka" di R. Tagore)