La maggior parte di noi si porta dentro, da sempre, un viaggio, che non è una semplice visita, ma un sogno. E va crescendo a poco a poco, costruendosi una delicata architettura. E’ un’amabile malinconia, che sviluppiamo con un complicato processo: senza voli aerei, senza tempo, senza soldi. Dalle palpebre verso dentro.

Un viaggio di questo tipo si alimenta di letture, cartoline illustrate, carte geografiche, ortografie, persone che arrivano con delle notizie, avventure vissute da altri e di cui uno si sente partecipe, nell’oscurità di una sala cinematografica o a casa, soli davanti al televisore.

Un pezzetto dopo l’altro prende forma il paesaggio che si riproduce una realtà che non si può toccare, ma forte come il vincolo che unisce il corteggiatore alla sua amante segreta. Credo sia una sorta di pellegrinaggio che ha a che vedere con il luogo a cui, per motivi misteriosi, sentiamo di voler appartenere

(da “Amor America” di M.Torres)

Perle di saggezza popolare (grazie a Venessia.com)

Io vado...

...nella mia nuova casa

mercoledì 4 febbraio 2009

Una nuova casa


"A tutti, nel paese, senza dubbio doveva sembrare che io vagassi qua e là, senza destinazione. Ma qui, lungo il fiume, al crepuscolo puoi vedere il dolce volo dei pipistrelli che volteggiano a zig-zag, intorno … volano per procurarsi il cibo. E se ti è mai capitato di perdere la strada nel mezzo della notte, nella foresta oscura vicino a Miller’s Ford, evitando ora una strada, ora l’altra, ovunque si poteva intravedere la luce della Via Lattea brillare per illuminare il sentiero. Dovresti allora capire che io cercavo la strada con ardente zelo e che tutto quel mio vagabondare era un vagabondare nella ricerca."

(una mia personalissima traduzione e adattamento della poesia “William Goode”, in “Antologia di Spoon River”, di E. Lee Masters)



Curiosa ed impaziente, ho vagabondato…

Un giorno mi son fermata:
un albero
una panchina
un’ombra


Sono stata a testa in giù, appesa ad un ramo di quell’albero, accompagnata dal dolce russare dei pipistrelli, risvegliata dai raggi che penetravano tra le foglie, coccolata dal silenzio di chi, passando, guardava su e sorrideva… e sussurrava… e raccontava…

Ho deciso di fare di quest’albero, la mia casa.
Ho deciso di fare di questa panchina, la ninnananna dei miei pensieri.
Ho deciso di fare di quell’ombra, la mia ombra… ad un passo dai miei pensieri, ad un passo da chi c’è appena più in là.

Nel caso qualcuno abbia voglia di passare a salutare, ora abito qui.
Starò a giocare con i semini di senapa… chicchi minuscoli, invisibili… che crescono con sole e pioggia.

Lascio questo mio spazio verde, così… com’è… con i giocattoli fuori posto, l’eco delle parole e le orme sulla strada…

In fondo, tutto quello che conta, è con me… alla rinfusa nelle tasche…

giovedì 15 gennaio 2009

Un tango di seducente silenzio

Mi immagino un silenzio surreale. Un pavimento nudo, di legno chiaro, caldo.
Un passo avanti all'altro, un petalo dietro l'altro.

Silenzio



Discover Gotan Project!



Le mani sudate; i passi lenti, decisi.
La punta che scivola, sfiora la cera, insegue l'ombra.
Chiudi gli occhi in un istante e li riapri mille e cento anni dopo, a guardarti in equilibrio sul piede sinistro.

Sfiori le corde di un pensiero, fai virbare l'armonia di un passo.
Cerchi il sottile legame tra le parole, dove i contorni sono bruciati e la punteggiatura arrugginita.

Balli un tango silenzioso, in mezzo alle parole degli altri.

Scivoli sui dittonghi e arrivi in punta di piedi sugli accenti.

Un salto.
Ti aggrappi agli apostrofi.. dei discorsi tronchi, macinati a mezz'aria, nascosti. Con le dita accarezzi la tenda di seta nera.. dietro c'è tutto ciò che vorresti solo immaginare. Abbassi lo sguardo e lasci le emozioni lì.. formicolii sulla pelle.

Chiudi gli occhi e rincorri i sospiri.. quelli che stanno tra le parole, quelli che rimangono imprigionati tra le pieghe della seta, tra le righe d'inchiostro.

Poi allunghi una mano e afferri i punti. Stretti, tra i pugni chiusi.



Oggi cerchi silenzio. Seducente silenzio.

Anch'io.

domenica 11 gennaio 2009

Seguendo la mia creuza de ma

Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov'è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido


[luna, 11 gennaio 2009]

E nella barca del vino ci navigheremo
sugli scogli emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d'acqua e sale
che ci lega e ci porta in una creuza de ma

[la mia creuza de ma (Jesolo -VE, settembre 08)]

da "Creuza de ma" - Fabrizio De André


La penna scorre sul foglio, tra le righe che immagino disegnar una strada... s'inerpicano sui pensieri e scendono sulle emozioni.
Resta un segno scuro, sbavato e sinuoso.
Restano gli spazi tra le parole come fotografie da immaginare.
Inseguo i passi andare e venire, in una creuza de ma


Nella spazzatura... parole e musica:

venerdì 9 gennaio 2009

Al volo... in una tazza di the

Con la mano sfiora la coperta e sorride; dentro agli occhi c'è la luce riflessa della candela accesa.

Penso agli anni... un libro di parole; di segni a matita e disegni sbavati; sottolineature; frecce e linee di graffite e sogni. Cinque anni scorrono come un nastro da tipografia... scritti e macinati... vissuti ed immaginati.
Nel frattempo abbiamo buttato le scarpe vecchie, comprato giacche più pesanti e tolto i guanti.
Ma siamo sempre qui. A stupirci di ciò che siamo e a sognare di riempire le pagine di un quaderno a righe, illuminate solo da quel lumino... al sicuro dentro alla lanterna.
Ho la sensazione che tutto sia proprio in quelle pagine bianche ancora da scrivere.



Il profumo di menta accompagna le parole dove devono andare e noi ci attacchiamo a quel filo e ci facciamo trasportare sulle emozioni.
Mi chiedo dove andranno a rifugiarsi, poi, le parole... quando perdono la forma e s'infilano in un vestito nuovo. Me le immagino in quella bustina affogata nella tazza, appesa al filo sottile che avvolgiamo al manico, stretto tra le dita. Me le immagino tutte lì, schiacciate una contro l'altra.. fino ad imbeversi, fino a profumare l'acqua di menta.
Resta solo l'essenza, il profumo.
Quelle, le parole, le butti. Dopo un po' sono insipide e rinsecchite. Quello che sono state è ormai già dentro di te, passa sotto alla lingua e s'infila tra i denti.. scende giù.

Tutto il resto, è ciò che rimane da raccontare.

domenica 4 gennaio 2009

Come gli occhi dei tuareg


Le dita scivolano sul marmo freddo della cucina, disegnano onde, seguono le curve, come se portassero briciole di colore. Quelle mani sentono quello che io potrei solo vedere, penetrano dove io potrei solo immaginare.
E' vecchio: il viso è disegnato da rughe profonde.. seguendo il filo delle curve, si potrebbe camminare tra i suoi ricordi, scendere giù fino al sole più caldo della terra da cui proviene e risalire su, fino a sentire l'aria dei pascoli. La bocca è scura, una linea sottile; una fessura nasconde denti bianchi, perfetti.
Indossa ciabatte nere di pelle striata dal tempo e una camicia scura, aperta un po', prima di richiudersi sotto alla morsa del maglione di lana grossa, grezza.
Io sono seduta in un angolo e lo osservo. Gli occhi scrutano ogni movimento.. prima le mani.. poi il viso.. mi incanto a vedere le espressioni del volto mentre sfiora il tavolo con delicatezza..
Sorride e mi racconta di quando sedeva ad intrecciare vimini.
Poche parole riescono ad entrarmi dentro, davvero.. le altre si avvicinano e poi sfumano, a pochi centimentri dalle orecchie.Una volta guardava le stringhe delle botti, le scie del carretto sulla mulattiera dopo le giornate di pioggia, i rivoli d'acqua lungo il marciapiedi.. seguo quelle scie.. chiudo gli occhi, anch'io. Cammino fino a bagnarmi i piedi, fino a sentire l'odore acre, del mosto.
Provo una sensazione di velata malinconia.. forse perché non può vedere i solchi sulla neve, oggi.. o forse perché lui vede quel che io non riesco a vedere.. o forse perché mi dispiace.. semplicemente mi dispiace.. chissà perché..
Mi tornano alla mente gli occhi dei tuareg.. nel deserto lo sguardo non incontra ostacoli, è sempre rivolto "oltre", e a lungo andare prende la forma di ciò che sta guardando, diventa profondo, quasi fosse abituato alla lungimiranza.
Chiudo gli occhi e cerco anch'io la profondità, ma io non sono nel deserto, non vedo oltre le case..
Chissà, forse anche lui, prima di diventare cieco, vedeva solo l'orizzonte, vedeva scie nel cielo e nuvole passare.
Io vedo marmo, vedo balconi socchiusi e orme ghiacciate.. mi chiedo cosa potrà vedere lui, più di me.. più iin là di me, nel suo deserto di sabbia e vento.
Vorrei chiederglielo. Vorrei chiedergli cosa vede più di una volta.. prima che quella strana malattia si stendesse comoda sugli occhi, giorno dopo giorno.. una coperta che poco alla volta gli ha nascosto quanto di più bello ci circonda.. i colori! e le forme. e le espresioni delle forme.
Vorrei chiedergli di che colore sono le orme ghiacciate, lui che le vede con gli occhi dei piedi.. di che colore sono, adesso, le stringhe delle botti.. quante sfumature, in fondo, riesce ad immaginare.. quante sfumature, in fondo, mi accontento di vedere io.. quante sfumature, in fondo, non riesco a percepire io.
Sono leggermente miope.. e astigmatica.. se guardo lontano vedo confuso, in una tempesta di sabbia. Dovrei immaginare il deserto e abituare gli occhi a guardare più in là, oltre la linea dell'orizzonte, oltre le case e le antenne..e non voglio occhiali per mettere a fuoco, basta guardare più in là.. sempre un po' più in là.

martedì 30 dicembre 2008

Zampillo in cammino verso la Terra Rossa

Aveva le zampe lunghe e le orecchie a punta; dietro al tallone, una macchia chiara… sua mamma gli aveva detto che quello era il segno della Terra Rossa, cosa strana per un canguro delle montagne. Il vecchio Zampa Corta gli aveva raccontato tante volte la storia dei canguri della pianura. “Un giorno andrò laggiù… vero, nonno?”, gli rispondeva sempre, curioso, Zampillo.

E fu così, che in un giorno di primavera, Zampillo infilò i suoi grandi occhiali e si presentò davanti alla casa del vecchio saggio. Due zampate alla porta e… “Zampa Corta, la Terra Rossa mi aspetta. Son passato a salutarti.”
Il vecchio infilò la testa nella fessura della porta, lo guardò ben benino, sorrise sbirciando le zampe che tamburellavano sull’erba, poi diede un’occhiata al marsupio vuoto e bofonchiò: “Aspetta un attimo. C’è qualcosa che devi avere.” Richiuse la porta con un colpo secco e sparì tra rumori rotti.
Se ne uscì qualche minuto dopo con una scatola impolverata: ci diede una passata con i suoi guanti neri e disse: “Questa ti servirà per imparare a riconoscere i messaggi del bosco! Dovrai averne cura, mio piccolo amico!”
In un batter d’occhio, Zampillo si trovò la scatola tra le mani e la porta chiusa, davanti agli occhi. La infilò nel marsupio e si avviò verso il bosco.
“Ehi!”, urlò dalla finestra il vecchio, “Non dimenticare: fai tesoro di tutto ciò che trovi. Fanne tesoro, mio piccolo amico!”


Appena scese la sera, Zampillo tirò fuori la scatola scura: era pesante, di legno di mogano, con un’incisione tonda, chiara… assomigliava proprio a quella macchia che aveva lui dietro al tallone.
Dentro c’era una vecchia bussola: un marchingegno fatto d’acqua e sughero, con un ago che girava da una parte all’altra, come impazzito.
Non ci volle molto affinché imparasse a far buon uso di quell’ago magico: ben presto infatti scoprì il segreto del muschio umido, attaccato alla corteccia degli alberi e quello del sole, che spuntava dalla testa delle montagne, saliva in alto e poi scendeva, nelle sabbie della pianura. Imparò a mangiare quando il sole gli batteva dritto sulla testa e a continuare il cammino quando la sua ombra correva, veloce, davanti a lui.
Poco alla volta quella bussola non gli servì più, perciò decise di richiuderla nella scatola scura e la di conservarla con cura nel marsupio.


Le piogge lo accompagnarono fino alla Radura Verde. Se ne stava, impaurito, a cercar conforto nella luce delle stelle, quando sentì qualcuno infilarsi tra le zampe. “Ehi, ma…!”
“Dove diavolo sono?!” borbottò un animaletto peloso col muso lungo, mentre tastava qua e là. “Eppure stavano qui, li avevo lasciati proprio qui”
“Ehiiiii, mi fai il solletico”, disse Zampillo balzando in piedi.
“Oh, scusa, amico! Ma ho perso i miei occhiali… li avevo appoggiati qui ieri, quando mi son fermato per ricaricare la mia Pietra di Luna, ma ora… non li trovo più.
Senza occhiali, tu non puoi capire, ma per una talpa quale son io, è un vero DISASTRO: mi perderò per le strade del bosco e non arriverò in tempo per la festa della nuova alba! Accidenti a me e alla mia testa vuota!”
Il canguro si fece una bella risata. “Ma che problema c’è? Io ho con me un ago magico, lui ti porta dove vuoi.” Allungò la zampa e avvicinò la scatola scura al muso peloso di lei, che uscì dal buco ed iniziò ad annusare intorno, con gli occhi stretti stretti per cercare di vedere… “Ahhhhh, meraviglia! Grazie, amico mio! Io in cambio posso lasciarti questa grossa Pietra… non è mica una pietra qualsiasi… questa t’illumina il cammino quando scende la notte: tenendola tra le mani, farà luce ai tuoi passi, sconfiggendo la paura ”
In un attimo si ritrovò nel marsupio quella palla luminosa, trasparente. “Accidenti quanto pesa!”
“Pesa, è vero! Ma non la dovrai tenere a lungo: lei ti aiuterà a vedere fin dove gli occhi non arrivano, ti aiuterà a scoprire i segreti della strada e delle sue pietre… poco alla volta non ti servirà più e potrai camminare anche ad occhi chiusi!”
Zampillo abbassò la testa dispiaciuto: “Io… beh, ti ringrazio!! Solo che… beh, vedi… io… ehm… io adesso non ti posso lasciare la mia bussola… cioè, io ho imparato i suoi segreti, ma un giorno potrebbe servirmi ancora… sai, io devo andare fino alla Fessura del Mare… devo arrivare fino alla Terra Rossa… vedi… è tanta strada… potrei perdermi ancora… mi dispiace… ma…”
“Non ti preoccupare, zampa lunga!”, rispose sorridendo la talpa. “La guarderò un po’ qui, prima che tu riprenda la tua strada. Quando ti sveglierai, domani mattina, potrai riprendere il cammino con il tuo marsupio pieno!” Fece un salto sopra la bussola e iniziò a parlare tra sé e sé “N… muschio e stelle in groppa… S… E… ahah… il sole, sì… domani…”


Quando Zampillo riaprì gli occhi, quello che trovò fu solo un buco, accanto alla sua zampa destra: la talpa se n’era già andata.
Con un balzo riprese la sua strada ma… quanto peso dentro al suo marsupio!
Presto scese la notte e, con in mano la Pietra di Luna, il canguro non ebbe più paura… imparò a saltellare sui sassi scivolosi ed evitare quelli spigolosi, scoprì il segreto della strada e dei suoi rami.
Passo dopo passo, decise di rimettere al sicuro quel pallone luminoso e a camminare ad occhi chiusi… sentendo la polvere sotto ai piedi prendere la forma dei suoi balzi.
Si risvegliò anche il sole, mentre lui ancora balzellava ad occhi chiusi sulla strada quando…
SPLASH
“Ahhhhhhhhhhh, accidenti a te!!”, spalancando gli occhi si ritrovò in groppa ad uno degli animali più grossi che avesse mai incontrato in vita sua… aveva l’aria di essere un po’ arrabbiato… molto arrabbiato.
“Ehm… scusa… ma non ti avevo visto, andavo un po’ di fretta! Posso fare qualcosa per riparare al danno che ho combinato?”
Quel grasso musone si spalancò in un enoooooorme sbadiglio. “Mi hai svegliato, pulce dalle orecchie a punta! Sto cercando di raggiungere il mare ma, quando scende la notte, il buio mi fa addormentare… è più forte di me, non riesco a stare sveglio! e così ora, oltre ad essere in ritardo, sono anche di cattivo umore!”
“Beh”, rispose Zampillo, strisciando la zampa a terra, “io ce l’avrei una cosa per farti tenere sveglio: è una palla magica, una Pietra di Luna. Però non te la posso lasciare, perché potrebbe servire ancora a me… il viaggio è ancora lungo e…”
“Dove stai andando, orecchie a punta?”
“Domattina arriverò alla Fessura del Mare… l’attraverserò e poi mi metterò a balzellare tra i miei sogni, nella Terra Rossa.”
“Mmmmhhh.. ragazzo mio, la Fessura del Mare è un posto pericoloso. Pensi davvero di farcela? Lì c’è un filo di ragnatela e tira forte il vento. Sei sicuro di poter attraversare la gola senza scivolare? In equilibrio… senza guardar giù e senza voltarti indietro?”
Zampillo iniziò a muovere le orecchie, agitato. “Vedi, io ci voglio davvero arrivare di là!”
“Allora, pulce, penso di avere qualcosa che fa al caso tuo: molti anni fa, un pappagallo giallo mi ha regalato una girandola, una vecchia e grossa girandola fatta di rami e foglie. L’ho tenuta qui, accanto a me, per tutto questo tempo… ho imparato ad ascoltare il vento: ora so quando cadrà la pioggia e quando potrò uscire senza che lui mi soffi via tutto il mio fango.
Sai, anche a me piacerebbe andare laggiù, nella pianura, ma io sono un ippopotamo… e quel filo di ragnatela è delicato: bisogna essere leggeri, seguire il vento… bisogna esser veloci ed agili.
Porta con te questa girandola ed esercitati tra gli alberi del bosco, così quando arriverai alla Fessura del Mare avrai già imparato ogni segreto del vento.
Non ti preoccupare per me: tieni la tua Pietra di Luna se credi ti servirà ancora… io ritroverò la strada. Buona fortuna, pulce dalle orecchie a punta!”

Zampillo infilò la girandola nel suo marsupio, ormai traboccante, e riprese la strada. Tutti quei tesori, stavano diventando davvero molto pesanti: non riusciva più a saltellare bene come i primi giorni, scivolava, instabile.

Il giorno passò velocemente e quando scese la sera, il canguro era sfinito: la schiena a pezzi e le gambe doloranti. Decise così di trascorrere la notte tra i rami degli alberi con la girandola ricevuta in dono dall’ippopotamo.
In poco tempo imparò a riconoscere il fruscio delle foglie, sentiva il vento venire da est e poi cambiare, soffiare forte da nord, freddo e pungente. Quando il sole si risvegliò nuovamente, lui aveva imparato a rimanere in equilibrio tra le foglie, a correre leggero tra i rami, a farsi accarezzare dal vento senza scivolare… era davvero pronto per intraprendere l’ultimo pezzo di strada, quello della Fessura del Mare.
La vedeva lì, davanti agli occhi: un filo sottile, che molleggiava con il soffio del vento… un filo che portava dritto dritto verso la Terra Rossa… già lo sentiva il profumo, già la vedeva la casa dei suoi sogni.


Prese un bel respiro e con un balzo si posizionò in equilibrio…
Fece il primo passo, fermo, preciso, attento.
E poi il secondo.
E il terzo.
Ormai se ne stava già a metà strada, quando sentì il vento soffiare forte, davanti a lui. Era sicuro di potercela fare, aveva imparato a farsi accarezzare senza mai scivolare… ma il suo marsupio ora era pesante, troppo pesante.
Non riusciva a camminare leggero, sul filo. Sentiva il peso sulle zampe.

“Eppure”, pensava tra sé, “il vecchio Zampa Corta si era raccomandato <>. Ma com’è che ora tutto pesava troppo? Cosa avrebbe dovuto fare, adesso? Dopo tutta quella strada, dopo tutta quella corsa… con il sogno davanti agli occhi…

“Ragazzo!” una voce roca lo sorprese, in bilico, a mezz’aria. L’avrebbe potuto riconoscere in mezzo a mille… era lui, il vecchio Zampa Corta.
“Non ti girare, figliolo. Rimani lì dove sei. Accucciati sulle zampe e drizza bene le orecchie!
Che ci fai così? Devi correre figliolo, non fermarti e guardare dritto davanti a te… leggero, delicato, sul filo dei sogni!”
Zampillo alzò le zampe e fece un leggero movimento col muso “Non ci riesco! Me l’hai detto tu… me l’hai detto tu” disse piagnucolando “che dovevo far tesoro di quello che incontravo lungo la strada! Io ho fatto così… ho portato con me tutto, sono stato attento e ora ho tutto qui con me, dentro al mio marsupio!”
“Ragazzo mio”, rispose a gran voce il vecchio saggio, “è quello che ti ho detto, sì! Ma far tesoro non significa portarsi addosso il peso di ciò che sono, tutte quelle cose! Hai ricevuto una bussola per imparare a leggere i segnali del bosco, una Pietra di Luna per abituare gli occhi al buio della notte… e una girandola per riconoscere il vento e giocare con lui senza farti ingannare dal suo soffio.
Tutto quello che hai, è già dentro di te. Quello che ora ti porti addosso, è solo un peso: liberatene! Avresti potuto aiutare la talpa. E poi l’ippopotamo… invece hai portato tutto con te per paura di non farcela. Getta in mare quello che non ti serve e fai tesoro nel cuore di ciò che hai imparato… metti una zampa dopo l’altra e continua il tuo cammino, dritto, verso la Terra Rossa.
Buona strada, mio piccolo amico!”

Zampillo girò la testa, ma quel che vide furono solo rami… immobile, lì, dov’era, infilò una zampa nel marsupio ed estrasse la girandola, e poi la grossa Pietra di Luna ed infine la Bussola… una ad una le gettò giù, nel mare.

Ora si sentiva di nuovo leggero, ora era pronto per rimettersi in piedi e, un passo dopo l’altro, arrivare alla Terra Rossa.
Un soffio, solo un soffio.

Ancora un passo, un altro.

martedì 23 dicembre 2008

Tutti, solo per me


Discover Dean Martin!



Passeggio sui minuti di una giornata, l'ultima dei ventiquattro 22 dicembre che mi son già scivolati sotto ai piedi.

Il sole si è alzato tardi, quando io ero già in cammino... si è stiracchiato ben bene le zampe e poi ha tirato fuori la testa. Timido. Incuriosito, forse da quelle striature rosate sul suo cuscino.


Poi si è alzato e si è vestito tutto d'azzurro.
Io l'ho inseguito mentre, con i piedi immersi nell'acqua, faceva il solletico ai gabbiani. Ero lì, dietro al muretto, mentre lui si rinfrescava il viso, a mezzogiorno.


L'ho ritrovato stanco, mentre sbadigliava respiri caldi, per coccolare chi partiva e accogliere chi tornava.


L'ho visto sedersi, accoccolarsi teneramente sotto alla coperta scura della notte... gli ho cantato una ninnananna silenziosa, raccontandogli la storia dei miei piccoli orsacchiotti.

Sto tornando a casa solo ora.. dopo 10 lunghe ore di lavoro, nelle gambe sento il peso della stanchezza e negli occhi il riflesso di tutta quella luce. Ma oggi ho corso per 10 ore fingendo solo di fare cose importanti pur di non perderlo di vista...lui, il sole!
e mi ha portato il mare.

Ho le tasche piene, stracolme, di tutti quei secondi dipinti di sfumature, che sono scivolati giù da quel pallone luminoso e si sono infilati qui, nelle mie tasche, alla rinfusa, trovando un buco negli angolini più bui.

Torno a casa con le mani che si fanno spazio tra quei colori.. cerco di toccarli tutti, con la punta delle dita.. mi sfiora il pensiero di tirarli fuori tutti e soffiarli in aria, o buttarmi a testa in giù e farli cadere sull'asfalto..chissà, magari qualcuno potrebbe raccoglierli.. Oppure, pensa, ipotrei nfilarli nelle cassette della posta o sotto ai cancelli...
O..

Ma..no, dai... in fondo oggi li voglio tenere per me..
tutti, solo per me.
Sorrido

domenica 21 dicembre 2008

Senza nulla


Discover Bob Geldof!


"Mi sono chiesto se era un caso che quando inizi un certo tipo di pensieri e di discorsi incontri un sacco di gente che dice o fa cose simili. O forse prima le incontravo e non ci facevo caso perché non avevo quel tipo di attenzione?" (da "Un posto nel mondo" di F. Volo)

Faccio fatica a ordinare i pensieri... perciò riprendo in mano quel filo che mi ha condotto fin qui e torno indietro...

Parto da quel viale alberato, dove tutto risuonava di silenzio. Immobile.

Villa Braida, Zerman di Mogliano (TV)

Penso ad Andrea, che un giovedì pomeriggio ha deciso di partire. Sentiva che la vita gli stava troppo stretta, forse.
Io invece penso che la giacca si possa sempre un po' allargare, i pantaloni accorciare e le maniche aggiustare.
Ma questo lo penso io. Forse lui non aveva voglia di aggiustare... forse voleva solo un vestito nuovo. Mi auguro solo che adesso, almeno, ci stia più comodo.


Penso alle parole di Bisio che recita Gaber:


ora basta con la finzione
normale benessere
una morale
troppo facile per noi essere pacifisti, antiautoritari e democratici
resistenza
magari ad altre cose
esibire
mano invisibile
consumo
essenzialità
spinta
nemico
contro le ideologie dominanti
contro il dilagare del superfluo
anche voi
silenziosa e passiva
slancio
localizzato
noia
s'insinua
senza nulla, salvo quel nulla non identificabile che ci corrode

Intanto canticchio una canzone...
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.

Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.

Giro giro tondo cambia il mondo.

Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l'unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.

Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un'antica speranza.

Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all'amore il resto è niente.

Giro giro tondo cambia il mondo.
("Non insegnate ai bambini" di G. Gaber)

E penso a quel frammento di "La storia infinita":
Gmork: Sei uno sciocco e non sai niente di Fantasia. È il mondo della fantasia umana. Ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell’umanità e quindi fantasia non può avere confini.
Atreyu: Perché Fantasia muore?
Gmork: Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il nulla dilaga.
Atreyu: Che cos’è questo NULLA?
Gmork: È il vuoto che ci circonda. È la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.
Atreyu: Ma perché?
Gmork: Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.

Penso a quel post di Renata

Penso a quei minuti frantumi che cadono sulla gente, a quei fiocchi di neve di Janas.

Penso alle parole dell'anonimo Luca nel commento a Janas
facile dire "bel post", sono solidale, un'altra bandierina a sventolare, come quel libro, pesante mattone si, ma solo nella coscienza di chi vuol costruire, e non solo progettare.

E penso..
Cosa altro dovremmo fare se non sventolare la nostra bandiera?

Come si insegna, quella magia?
dare esempio, con coerenza al voler costruire, senza derive verso le false libertà

Già..
Forse iniziando a mettere delle cose belle, sopra questo nulla.
Metterci un tavolo e 4 sedie. Un bicchiere di vino e una bottiglia d'olio. Del pane caldo e le salviette blu.

I miei 25 anni sono alle porte...

Giro giro tondo cambia il mondo

... ho ancora due mani libere... nel caso qualcuno si volesse attaccare...

sabato 13 dicembre 2008

In mani e piedi

Qual è il peso dei sogni?
Un soffio di vento? Una foglia ben ancorata al suo ramo? che spunta in primavera, succhia la linfa facendosela scorrere tra le vene fino ad ubriacarsi per poi sentirsi sazia e scegliere di lasciarsi andare, nei primi freddi autunnali... cadere giù, marcire e rifiorire in un petalo di una pratolina sotto ad una quercia?
Una fedina d'argento? che vive con te, nel silenzio e nell'amore dei giorni. Pochi grammi che pesano come macigni quando decidi di toglierla, così, solo per pulirla un poco.
Una borsa troppo piena di cose inutili? che continui a portarti via perché "non si sa mai".

Che odore hanno i sogni?
Quel profumo delicato di marsiglia? che si impregna nei vestiti... che ti porti addosso per la strada... quell'odore che col tempo s'affievolisce e che rimpiazzi con uno nuovo, da scoprire.
Che odore hanno? Quel non-so-che che sa di casa tua? che non riesci a percepire ma che gli altri riconoscono tra mille? E' quell'odore che risenti solo quando torni da un pellegrinaggio lontano, alla ricerca di Loto e Tiaré... e torni a casa con le tasche vuote e la nostalgia di quel non-so-che.

Che forma prendono, i sogni?
Quella dell'ultimo dentino di un bimbo, nascosto con cura in un angolo della finestra, che si trasforma in un sorriso di fata, nella notte?
Un neo sulla pelle? che un giorno decidi di togliere per non avere più marchi indelebili dentro e fuori di te? ancora inconsapevole che ti resterà una cicatrice eterna, che prude quando piove e sbiadisce al sole, ma che racconta splendidamente di quello che sei
Una briciola di pane? sulle spalle di una formica, fino a casa
Un sassolino che calci per la strada? che a volte sparisce sotto al marciapiede per poi riapparire più grande, dietro al lampione?
Un guscio di noce? che diventa una barchetta nel bicchiere o il guscio di una tartaruga in cui infilare la testa... o il cappello del grillo parlante, ubriaco di parole buone... o una conchiglia che ti canta la ninnananna prima di dormire... o la gobba di un cammello nel mezzo del deserto, da cui, una goccia alla volta, trovi il tuo più dolce ristoro lungo la strada... o lo zainetto di un camaleonte, che oggi è turchese come il riflesso del vento e domani è arancione come le bacche della piracanta?


I miei credo si nascondano nelle orme che i miei piedi lasciano lungo il sentiero, ogni giorno, e in tutte quelle sensazioni che tocco con la punta delle dita, ogni istante.

venerdì 12 dicembre 2008

Sensasìa

SENSASìA..ovvero, la fantasia dei sensi!

E' un gioco che mi son divertita a fare e a guardar fare: l'ho trovato MERAVIGLIOSO! Soprattutto l'idea di vedere le varie interpretazioni di suoni, immagini e profumi... è incredibile a volte come siano belle le sfumature che colgono altri, come siano strane e quasi assurde... a volte sembrano banali, perché magari ci avviciniamo senza toccare quell'idea.

E' una giostra di sentimenti, a guardar quello degli altri!

... e una giostra di emozioni a provare a farlo!!


Abbina un SUONO a
- ULTIMO: http://www.deezer.com/track/952363
- SOGNI:
- SEMPRE: http://www.deezer.com/track/1246462
- QUI: http://www.deezer.com/track/2106519
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- SCIVOLARE:
- DOMANI: http://www.deezer.com/track/189561


Abbina un PROFUMO a
- DESTINO: incenso al gelsomino
- PRIMO: pancetta affumicata (ovverosia: carbonara!ahhhh)
- CONFUSIONE: odore di bruciato (ho in mente quello della macchina..cioè non proprio la macchina intera, ovvio! un qualche cosa che c'era dentro la macchina.. e che poi.. eheh.. non c'era più!)
- SORRISO: pepe
- LUNA: incenso alla rosa
- SORPRESA: pane fresco
- RICORDI: non è proprio un odore.. è l'odore della cedrata unito alla sensazione di frizzantino che si sente nel naso quando lo si avvicina al bicchiere!!
- FORSE: quell'odore che si sente poco prima che piova
- EMPATIA: il profumo dell'erba appena tagliata
- INTUIZIONE: zenzero


Abbina un'IMMAGINE a
(precisasiùn: il gioco consisteva nel dare una forma di un oggetto ad ognuna di queste parole... io mi son divertita farlo con le fotografie!!)

- VENTO:


- SILENZIO:


- OCCASIONE:


- SI':


- TEMPO:


- INCERTEZZA:


- OGGI:


- APPUNTAMENTO:


- MERAVIGLIA:

- FINE:

E per chi ha voglia di giocare con la propria fantasia dei sensi... buone emozioni!

venerdì 5 dicembre 2008

Un biglietto sotto alla porta --uno


Discover Carmen Consoli!



- [sta sulla finestra, con la testa fa un movimento incerto, lento] : Ehi, Willy… ho trovato un biglietto sotto alla porta, oggi pomeriggio…
- [continua a spazzolare la giacca] :

- [voce più alta] : Ehi, Willy… credo di aver sbagliato…
- [continua a spazzolare la giacca] : Chiedi scusa
- [piega il foglio tra le mani] : Non mi chiedi perché?
- [continua a spazzolare la giacca] : Non è più importante
- [abbassa lo sguardo, si gira, guarda fuori dalla finestra] : …

la notte è tranquilla, la luna si nasconde… ma lascia intravedere il sorriso più bello che ha

- [piega la giacca e si siede sopra] :
Lui pensava, davvero, che gli uomini stanno sulla veranda della propria vita (esuli… da se stessi) e che questo è l’unico modo possibile, per loro, di difendere la propria vita dal mondo, giacché se solo si azzardassero a rientrare in casa (e ad essere se stessi) immediatamente quella casa regredirebbe a fragile rifugio nel mare del nulla, destinata ad essere spazzata via dall’ondata dell’Aperto, e il rifugio si tramuterebbe in trappola mortale, ragione per cui la gente si affretta a riuscire sulla veranda… riprendendo posizione là dove solo le è dato di arrestare l’invasione del mondo, salvando quanto meno l’idea di una propria casa, pur nella rassegnazione di sapere, quella casa, inabitabile. … C’era qualcosa di infinitamente dignitoso in quell’indugiare eterno davanti alla soglia di casa, un passo prima di essere se stessi

[alza la testa] : Stai scrivendo, Ste?!
- [gira la testa, lascia solo i capelli alla luna] : Ehm… no, scusa, ho…
- [abbassa la voce] :
le notti in cui si alza il vento feroce della verità, la mattina dopo sei costretto a riparare la tettoia delle tue menzogne, con pazienza inossidabile…. Quelle sere in cui l’aria è fredda e il mondo sembra essersi assentato, d’improvviso ti senti comico, lì, sulla veranda, a fare la guardia contro nessun nemico, ed è una stanchezza che ti morde, e l’umiliazione di sentirti così inutilmente ridicolo, alla fine ti alzi e rientri in casa, dopo anni di menzogna nemmeno ti riuscirà di orientarti, là dentro, come se fosse la casa di un altro e invece era la tua, lo è ancora, apri la porta ed entri, curiosa felicità che non ricordavi, casa tua, dio che meraviglia…. Sarò in questa casa fino a quando sarò, MA
[alza la voce]
MA se tu aspetti, e da fuori guardi quella casa, potrà passare un’ora o una giornata intera, MA alla fine tu vedrai la porta aprirsi, senza sapere né poter capire, mai cosa può essere successo là dentro, vedrai la porta aprirsi e lentamente quell’uomo, uscire, invisibilmente spinto fuori da qualcosa che non potrai mai sapere, MA certo deve avere a che fare con qualche vertiginosa paura, o incapacità, o condanna, tanto spietata da spingere quell’uomo fuori, sulla sua veranda, il fucile in mano. *
[si alza in piedi e raccoglie la giacca] Chiudi la finestra!
[voce più alta] e scendi da lì.
C’è da spazzare, raccogliere l’immondizia e mettere un sacchetto nuovo



Discover Alex Britti!



[*da Alessandro Baricco, "City"]

giovedì 4 dicembre 2008

Erano solo riflessi... solo?

Passeggiava con il passo pesante, tra le dita si stringeva ad una sigaretta per fumare via la polvere.

Era arrivato da lontano per cercarlo qui, trovarlo, portarselo via.
Nelle tasche conservava un post-it giallo e stropicciato: dentro c'era appuntata la sua speranza, consumata.

Aveva attraversato ponti e seguito voli di gabbiani... era stato in equilibrio sui fili della luce, aveva chiuso gli occhi e aveva provato a cercarlo tra i ricordi...
Camminava a testa alta, il passo veloce, ma pesante. Guardava su e non vedeva altro che quello che c'era già, quello che c'era ieri... guardava dietro i tetti, tra il fumo dei camini e in bilico, sulla linea dell'orizzonte.

Aveva corso, si era fermato, era tornato... voleva di più... era nervoso, e pure un po' arrabbiato.

Scusi, sto...
Ma c'era chi non capiva, non sapeva...
giocava...
semplicemente si divertiva a giocare con biglie di vetro, ammaccate; e si faceva meravigliare da quelle sfumature che si intrecciavano dentro.

Il vetro fa il miracolo, la magia… Entrare in un posto e avere l’impressione di uscire fuori… Essere protetti dentro qualcosa che non impedisce di guardare ovunque, lontano… Fuori e dentro nello stesso momento… al sicuro eppure liberi… questo è il miracolo, e a farlo è il vetro, solo il vetro. […]
E’ la magia del vetro… proteggere senza imprigionare… stare in un posto e poter vedere ovunque, avere un tetto e vedere il cielo… sentirsi dentro e sentirsi fuori, contemporaneamente… un’astuzia, nient’altro che un’astuzia… se lei vuole una cosa e però ne ha paura non ha che da mettere un vetro in mezzo.. tra lei e quella cosa… potrà andarle vicinissimo eppure rimarrà al sicuro…

Non c’è altro… io metto pezzi di mondo sotto vetro perché quello è un modo di salvarsi… si rifugiano i desideri, lì dentro… al riparo dalla paura… una tana meravigliosa e trasparente…
Lo capisce, lei, tutto questo?
(da “Castelli di rabbia” di Alessandro Baricco)


Lui si era inginocchiato solo per raccogliere la biglia, scivolata tra i suoi piedi
e l'aveva visto.


Era lì, nascosto tra le onde, il centro di cerchi nell'acqua...
forse era solo un riflesso... ma che importava? era lì!

Ed era il più bel sole che avesse mai visto!

Sfilò il post-it giallo dalla tasca e buttò la sigaretta.
Stava scendendo ormai la sera: non poteva perdere altro tempo... sarebbe arrivata la notte e, con lei, un'altra mattina.
Lo raccolse e lo mise in tasca, un sorriso alla bambina che giocava con le biglie... lei non sapeva, ma era felice di vedere i raggi spuntare da quella tasca

anche se erano solo riflessi...

ma, in fondo, lì c'era il fuoco e c'era l'acqua, lì si nascondeva il cielo e la terra... era al sicuro
erano solo riflessi... ma è sempre da quelli che si comincia...
si segue una scia...





liberamente ispirato da:
-un'immagine...un sole riflesso, passeggiando tra le calli
-biglie che scappano e si perdono
-palle di diverse dimensioni, più grandi di biglie e più piccole di soli... a volte girano, a volte son lì, che aspettano
-L’esistenza si consuma nell’attesa: si va in giro con la lista della spesa ma forse quello che aspettavo è già arrivato, nascosto nella luce per non essere individuato ("Tutto può succedere" di Lorenzo... una frase casuale di una canzone scelta casualmente dal mio random nell'mp3)
-il karma della karma

martedì 2 dicembre 2008

Solo salviettine?

Fermarsi al bar, la sera, prima di andare a dormire, è un modo per raccontarsi storie. E quelle storie stanno tutte dentro alle salviettine triturate, spigolate, ripiegate… dietro ci sono disegni infantili, firme che non appartengono più a nessuno, parole come bolle di sapone che si gonfiano, si deformano…fino a scoppiare.
In realtà quelle parole non sono lì per caso! E' che uno le attacca là, per togliersele dalla testa. E invece loro non se ne vanno mai! ti guardano e ti sorridono… Alla fine cedi; cedi sempre.


Così inizi a ripassare la S, che ti vien bene, quella… poi ci fai un cappellino e una coda… è un serpente! Nononono..forse è un corteggiatore emozionato, in ginocchio davanti a lei… dev’essere lui, sì! Quasi quasi ci vedo l’anello, tra le mani.

Poi d’improvviso la tua mano cede un poco, un tremolio leggero… ti senti emozionato per lui, forse… o ti senti lei… ti distrai, pensi a dopo, pensi a ieri e così… ecco,
gli è caduto l’anello!
Che pirla! Tu te la ridi… ma non puoi abbandonarlo così!
E allora ti fermi un attimo, quasi ci fossi anche tu, lì con lui a cercare di rallentare quei secondi eterni che passano in fretta… Lui abbassa gli occhi e lo vede... eccoloeccolo! è lì, per terra, caduto tra le foglie!!
Si tuffa in una N.. lo vede lo prende e lo alza come un trofeo.. come quando ti insegnano a tirar su i cucchiai in piscina. E intanto con la penna lo accompagni nel salto.

Bello questo momento... un fermo immagine nel momento in cui

tocca

l'anello con le dita: ti gusti l'i s t a n t e della conquista e poi ricominci, risali risali risali fino a vedere gli occhi di lei. E dagli occhi torni giù, in un rewind lento, per
risentire

l'anello

tra
le
dita,


laggiù, tra le foglie umidicce



Quella parola ti piace! adesso è diventata una parola che si sta sciogliendo in una macchia di olio, per terra... In un attimo poi diventa un fumetto... no, non più... uno specchio?! Mh…
O un lecca-lecca, forse...
Ma non ci sono parole sui lecca-lecca! Che idiozia!

Adesso non ti piace più. L'amante se n'è andato, il tuo fumetto non parla più, lo specchio si è rotto e il lecca-lecca sa di vaniglia.. pessimo!
Meglio farlo a pezzettini! Prima piega Seconda piega...

Illuminazione!
Ecco cos'era! Lo giri, lo contorci... una due dieci
quindici volte.
Ecco cosa cercava lui: non era un anello! stava raccogliendo una rosa! una rosellina per lei!

Così te la ritrovi tra le mani: una rosellina bianca con sfumature blu, qualcuna è sbavata e qualche altra è appena segnata.. una linea distratta che si è persa tra le pieghe.



Ti volti e la dai a lui.
Un sorriso. Anzi, due!

Un bacio


domenica 30 novembre 2008

Stacca la spina... Staccala!


PLAY

E' una corsa. Girare la testa e sorridere a chi sta dietro; mettersi a due centimentri di ruota da chi ti sta davanti, appoggiare il respiro sulla sua bisaccia per sentire che c'è. O vedersi ultimi, con la strada che corre più veloce di te.... vedersi sempre più lontani e farsi accarezzare dall'idea di accelerare.

E poi, in un momento, sentirsi bene lì, indietro, scarsi, stanchi... ultimi! Lontani dal fruscio degli altri e sentire solo i pedali, solchi nella neve.
Guardarsi attorno e pensare di essere in un sogno...
rallentare...
ascoltare i muscoli...

dare il ritmo giusto alle ruote...




REWIND

I ricordi balbettano fotografie che appaiono disordinate.


Accendo l'incenso e mi lascio guidare tra le parole, tra quelle fotografie.
Rivedo quel bacio
Risento quel sorriso... quasi riesco a risentire il gusto di quel gelato



e ricordo quel viaggio di tanti anni fa...
rivedo le luci sul foro, risento il profumo della carbonara calda, ritrovo le telefonate e le parole.
Risento i piedi stanchi appoggiati alla panchina di Santa Sabina... rivivo quell'aria di casa, lontana chilometri e chilometri dalla mia... quell'aria calda che inaspettatamente ogni tanto riappare, lieve.

Libero, sorridente
ripensandoti
come foglia al vento
carico di profumi

(da "Stacca la spina" di G. Barbarotta)


Il treno ha chiuso le sue porte e il mio viaggio continua; qui; nelle telefonate veloci, negli itinerari tra il vino e le statue ammaccate dal tempo. Il mio viaggio continua nel silenzio di quelle parole che si perdono tra i vicoli nascosti dei ricordi.
Il tuo è ricominciato, nel mio silenzio e nei tuoi sorrisi... so che risentirò quel fischio passarmi accanto, sorridermi, svegliarmi.




FAST FORWARD

Tornerò lassù, un giorno.
Riappoggerò i piedi su quella panchina per fischiare anch'io; e risvegliare la grande città.



PAUSE
Il mio cuore è come una nube,
vuole vagare in mezzo al cielo.

Aperti gli occhi verso la terra
vuol sorridere come l'alba.
Il sorriso s'unisce alle nubi,

il sorriso vaga per l'aria:
sorriso d'aurora, sorriso di fiore
si spande per il giardino.
Il mio cuore s'innalza in cielo
vuole fiorire come l'aurora.

(da "Sissu" di R. Tagore)




Ero irritabile, instabile, soggetto a troppi alti e bassi. Gli dissi che mi sembrava di guardare il mondo attraverso un caleidoscopio: una piccola mossa e tutto appariva verde; ancora un leggero tocco e tutto era rosso, poi nero e poi oro. Volevo fermare il caleidoscopio, così che tutto restasse d’un colore. Volevo mettere fine agli alti e bassi, che tutto fosse pari.

(da “Un altro giro di giostra” di Terzani)



Uno è che non sono ancora riuscito ad avere un rapporto giusto col tempo e a considerare il mio tempo come tempo per gli altri al modo in cui faceva il Swami. Mi piacerebbe tanto arrivarci!
L'altro problema è che continuo a identificare la pace interiore con la solitudine, la mia armonia col vivere in un eremo in montagna. La lontananza dal mondo è ancora una condizione necessaria del mio stare in equilibrio. E questo è un segno che ho ancora molto da lavorare. Per questo ho cominciato da poco a fare un esercizio che i tibetani, i sufi e tanti altri hanno fatto per secoli. Disteso per terra guardo il cielo. Contro l'azzurro si muovono, leggere, delle nuvole. Ne fisso una, la seguo, mi ci identifico. Presto divento quella nuvola e, come quella nuvola, senza peso, senza pensieri, senza emozioni, senza desideri, senza resistenza, senza direzione mi lascio andare nell'immenso spazio del cielo. Non ci sono sentieri da seguire, non una meta da raggiungere. Semplicemente vagare, aleggiare, vuoto come la nuvola. E come la nuvola cambio forma, prendo tante forme, poi divento evanescente, mi disfaccio, scompaio. La nuvola non c'è più. lo non ci sono più. Resta solo la coscienza, libera, senza legami, una coscienza che si espande. Ho cominciato a fare quest'esercizio sul mio crinale sopra lo strapiombo. Ora debbo imparare a farlo dovunque: su un prato nell' Appennino, sulla terrazza della casa a Firenze o al margine di un'autostrada. Se riesco a immagazzinare quel senso di vuoto della materia, così come credo di aver finalmente capito che il silenzio è una dimensione interiore e non fisica, avrò fatto un passo avanti, smetterò di considerare il quotidiano come una piovra dalle mille braccia, il tempo come «mio» e a dover scappare nell'Himalaya per sentirmi in pace. Ci lavoro.

(da "Un altro giro di giostra" di T. Terzani)




Giovane viaggiatore,
dimentica le stanchezze del viaggio,

procedi con coraggio!

Non spegnere nell'anima

la luce del tuo cammino.


(da "Sfulingo" di R. Tagore)




STOP
Quello che volevo dire
e non ho detto

era solo questo:

Attraverso la mia porta

davanti agli occhi

ho visto mille volte

l'universo eterno.
L'eterna intelligenza dello sconosciuto

ogni giorno in tanta semplicità

ha riempito l'intimo del cuore:

non so se potrò dire con parole semplici

questa verità


(da "Balaka" di R. Tagore)




PLAYCi lavoro.

lunedì 24 novembre 2008

della serie... a volte ritornano!


Due anni fa mi è stato chiesto di fare una “testimonianza di vita” per alcuni ragazzi di 17 anni… non che il mio zaino traboccante di grandi esperienze, ma, si sa, i ragazzi riconoscono quelli che hanno da poco percorso la loro strada, quelli che stanno poco più avanti… non troppo da perderne la scia, ma abbastanza per poter riconoscerne le orme.

Li ho accompagnati lungo il mio sentiero: c’ho messo dentro canzoni e qualche fiaba per allietare il cammino, c’ho infilato un pizzico di amarezza ed ho condito il tutto con della salsa piccante… insomma, tutto ciò che sono in tutto quello che mi racconta.
Li ho lasciati con un pezzetto di un famosissimo discorso di Martin Luther King, che a me piace tanto…

Se sei destinato ad essere uno spazzino, pulisci le strade come Michelangelo dipingeva i suoi quadri, come Beethoven componeva musica, come Leontyne Prince cantava davanti al Metropolitan, come Shakespeare scriveva poesia. Pulisci le strade così bene in modo che tutti gli abitanti del paradiso e della terra si fermino e dicano: “Qui visse un grande spazzino, uno che fece bene il suo lavoro.” Se non puoi essere pino in cima alla collina, sii un arbusto nella valle. Sii, sii il miglior piccolo arbusto sul fianco della collina.
Sii un cespuglio se non puoi essere un albero. Se non puoi essere una strada maestra, sii semplicemente un sentiero. Se non puoi essere il sole, sii una stella. Perché non è per le dimensioni che si vince o si perde. Sii il meglio di qualsiasi cosa tu sia.

Insieme alle parole, ho lasciato loro un pezzetto di pastello, un rimasuglio… uno di quelli consumati dai disegni, dagli schizzi e dalle sfumature.
Con un solo augurio: qualunque sia la vostra strada, tenetelo sempre in tasca e sappiate colorare tutti quei fogli bianchi che vi capiteranno sotto al naso, facendo sempre il più bello dei vostri disegni.


Oggi me ne stavo a casa, con lo stomaco ancora in subbuglio; stavo davanti al mio computer a battere parole che, oggi, oggi proprio, non mi dicono nulla… una dopo l’altra; così, come sono scritte: passano attraverso gli occhi, si cambiano le lettere e tutto resta uguale… non è questo, quello che fa un traduttore di solito, ma oggi è così… oggi sono come quel Babelfish che infesta internet… oggi quelle parole non hanno sfumature, tutte uguali, tasti che si intervallano… lettere che, una accanto all’altra, matematicamente creano parole…
Capita…

Ad un certo punto suona il campanello
E’ lei! Ha passato anni con me: le ho sistemato il fazzolettone, l’ho portata in tenda con la febbre e il mal di schiena, l’ho sgamata in giro di notte a veder le stelle, mi sono crepata di risate a sentirla raccontare storie strampalate e le ho tenuto la testa tra le spalle quando le parole non bastavano più… ho ascoltato i suoi sogni di domani e mi son sentita piccola davanti alla sua meravigliosa fantasia.

Oggi ha suonato il campanello e si è seduta accanto a me
Ho chiuso il computer e ho sorriso a questo bel regalo, capitato lì all’improvviso

Chiudi gli occhi, mi ha detto…
mi son sentita tra le mani una decina di tubicini di legno, pastelli direi… sì, l’odore era inconfondibile! Pastelli!

e scegline uno…
sempre ad occhi chiusi, faccio scivolare le dita e ne prendo uno. Me lo passo tra le dita e sento che la punta è tonda, un po’ consumata; il dietro un po’ scheggiato, qualche ammaccatura sulla lacca…
senza pensarci troppo, lo annuso, ci gioco...

Rimani con gli occhi chiusi e ascolta:
Chi mi conosce a volte si lamenta del fatto che per me le cose sono o bianche o nere. In effetti, qualche mio collega potrebbe dire: «Se cerchi un consiglio netto, o bianco o nero, vai da Randy. Ma se cerchi un'idea o un consiglio che abbia una qualche sfumatura, non è lui la persona giusta». Okay. Ammetto di essere colpevole, e da giovane ero peggio. Dicevo che la mia scatola di pastelli conteneva solo due colori: bianco e nero. Credo sia questo il motivo per cui mi piace l'informatica, perché quasi tutto o è vero o è falso. Invecchiando, però, ho imparato a capire che una buona scatola di pastelli ha più colori. Ma penso ancora che se si vive la vita nel modo giusto, il bianco e nero si consumeranno prima degli altri colori. In ogni caso, qualsiasi sia il colore, amo i pastelli. Alla mia ultima lezione ne avevo portati centinaia. Volevo che tutti ne avessero uno quando avrebbero lasciato l'auditorium, ma quelli alla porta si sono dimenticati di distribuirli. Peccato. La mia idea era questa: mentre parlavo dei sogni dell'infanzia, avrei chiesto a tutti di chiudere gli occhi e sfregare il pastello tra le dita -per sentirne la consistenza, la carta, la cera. Poi avrei detto di portare i pastelli al naso per annusarli. L'odore di un pastello riporta all'infanzia, non è cosi? Una volta ho visto un collega fare una cosa simile con i pastelli con un gruppo di persone, e l'ho trovata un'idea ispirata. Infatti, da allora, ho portato spesso con me un pastello nel taschino della camicia. Quando ho bisogno di tornare indietro nel tempo, mi faccio un'annusata. Ho un debole per il pastello nero e per quello bianco, sono fatto cosÌ. Ma tutti i colori hanno la stessa potenza. Annusateli. Vedrete.
("L’ultima lezione" di Randy Pausch)


Apro gli occhi meravigliosamente confusa

Ora ho un pastello azzurro tra le mani…
e vedo che c’è ancora un bel po' di colore da usare!

...e, ormai si sa,
a me non piace aspettare! eheh
 

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